Il 18 settembre è oramai a “un tiro di schioppo”. Normale, quindi, che le attenzioni di analisti, gestori, economisti, investitori siano tutte rivolte alle scelte che Jerome Powell, Presidente FED, deciderà di attuare.
Nell’attesa, in maniera altrettanto ovvia, si sprecano i pareri di chi ritiene che il “timing” della Banca Centrale americana sia corretto e chi, invece, sostiene che sia “tardi” (“dietro la curva”) e che la recessione sia molto più probabile e vicina di quanto si pensi (a sostegno evocano, tra le altre cose, che i rendimenti dei treasury a 2 anni sono tornati ad essere inferiori a quelli dei titoli a 10 anni: una situazione, in realtà, assolutamente normale – è scritto sui testi scolastici che i rendimenti di un titolo “breve”, quali sono quelli a 2 anni, siano inferiori a quelli “lunghi”, quali, appunto, i decennali. Eppure, per molto tempo abbiamo assistito alla così detta “inversione della curva”, in cui i titoli corti rendevano – e non poco – più di quelli lunghi. I precedenti dicono che nel momento in cui la curva “si normalizza, questo potrebbe essere un indicatore che la recessione, entro 12-18 mesi, busserà alle porte dell’economia).
Ovviamente, del “doman non v’è certezza”: non tanto sul fatto che domani Powell taglierà i rendimenti (rimane il dubbio se dello 0,25% o dello 0,50%), quanto sull’arrivo del “grande freddo”.
Sull’entità del taglio, prende sempre più piede la scuola di pensiero che forse “0,50 è meglio di 0,25”, con la percentuale di chi è favorevole ad un intervento più deciso che ormai ha raggiunto il 60%. Rimane, come già scritto in altre occasioni, il tema della “comunicazione”, e quindi del “percepito” da parte della business community laddove si scegliesse quella strada. Senza dubbio il beneficio per gli investitori (soprattutto per il mondo obbligazionario) non passerebbe inosservato.
Un po’ diverso, invece, potrebbe essere l’impatto per i mercati azionari. Un taglio più pesante potrebbe essere letto come la conferma di un “momentum” più difficile di quanto sin qui immaginato e quindi come una sorta di estremo tentativo di evitare il peggio. A preoccupare sono soprattutto i dati americani sul lavoro. Si sa che il livello di disoccupazione, per quanto si sia allontanato dai minimi del 3,5/3,6% di qualche mese fa, rimane contenuto (siamo al 4,2%). Ma che le cose stiano cambiando ce lo dice il dato sull’offerta di lavoro. Se 2 anni e mezzo fa per ogni cittadino americano in cerca di un posto di lavoro c’erano 2 posti di lavoro disponibili, oggi il rapporto è sceso a 1,2. Non c’è bisogno di essere grandi economisti per capire che se si scendesse sotto la soglia di 1 le problematiche potrebbero diventare “esponenziale” (con il rischio ulteriore, secondo alcuni studiosi, che la battaglia per la riduzione dell’inflazione potrebbe comportare costi ben maggiori rispetto agli attuali). Analisi (e decisioni) che potrebbero essere lette come la conferma che per la Corporate America i tempi saranno più difficili, in considerazione del calo dei consumi (ricordiamoci sempre che questa voce contribuisce per ben il 68% al PIL di quel Paese) e, di conseguenza, ad un calo degli utili. E siccome il livello di utili è un mantra, ecco che il loro calo porterebbe ad un rapporto p/e (prezzo/utili) in aumento, cosa che renderebbe le azioni assolutamente più care e quindi meno convenienti, con un probabile “riallineamento” dei prezzi.
Quella che sembrava, quindi, una decisione piuttosto semplice (il taglio dei tassi), rischia di diventare una sorta di “spartiacque” per l’economia a stelle e strisce (con rischi di “contaminazione” ad altri Paesi). Una “solitudine”, quella del Presidente FED, resa ancora più evidente dalla prossimità delle Presidenziali (ormai manca solo 1 mese e mezzo), con Trump probabilmente pronto ad accusare Powell, nel caso optasse per la scelta “più forte”, di favorire il “fronte democratico”.
Il tutto, poi, inserito in un contesto politico forse mai così aspro (e astioso) a quelle latitudini, che il secondo, sventato, attentato verso il tycoon rischia di esacerbare ulteriormente (vedi le dichiarazioni di Trump dopo l’arresto del presunto attentatore), facendo salire le tensioni (e con loro le preoccupazioni) per le prossime ultime settimane di campagna elettorale (senza pensare a quello che potrebbe succedere immediatamente dopo se l’esito fosse, “sul filo del rasoio”, a favore di Kamala Harris (abbiamo tutti ben impresso l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori trumpiani nell’Epifania del 2021).
I mercati, intanto, sembrano essere entrati in modalità “waiting for”.
Ieri Wall Street ha dato segnali contrapposti, con il Dow Jones in crescita dello 0,55%, mentre il Nasdaq ha sofferto il calo di Apple , arrivata a perdere sino al 3% sulle non eccezionali previsioni di vendita del nuovo Iphone 16. Appena positivo (+ 0.13%) lo S&P 500.
Questa mattina, dopo la festività, ha riaperto a Tokyo il Nikkei, in calo dell’1,6%.
A Hong Kong seduta positiva per l’Hang Seng, che sale dell’1,22%.
Ancora chiusa Shanghai.
Futures ovunque poco mossi, a confermare l’attesa dei passi della FED.
Segnali di forza da parte del petrolio, con il WTI che torna di prepotenza sopra i $ 70 (70,65 questa mattina, con un nuovo rialzo dello 0,70%).
Gas naturale USA a $ 2,394, + 0,76%.
Non “molla la presa” l’oro, sempre in area $ 2.600 (2.588,80 questa mattina).
Continua la discesa dello spread, oramai a 134,6 bp.
Rendimento dei BTP a 3,48%, al livello più basso dell’anno.
Bund 2,14%.
Treasury a 3,52%.
Nuovo, leggero rafforzamento dell’€, a 1,1129 vs $.
Bitcoin sempre “impantanato” in area $ 58/59.000 (58.615).
Ps: guardiamo alla pace sempre con speranza e ottimismo. Certo che quando leggiamo che Putin ha emanato un decreto che prevede che le forze armate russe arrivino ad un esercito di 2.380.000 militari, di cui 1,5 ML “attivi” (e quindi che possono essere impiegati in azioni di guerra – di cui non meno di 700.000 impiegati nell’operazione militare speciale verso l’Ucraina), qualche dubbio viene…al primo posto in questa speciale classifica c’è sempre la Cina, con 2 ML di soldati attivi, che però ha una popolazione di circa 1,4 MD di abitanti (mentre la Russia ne ha “solo” 144 ML).